Aperti gli occhi ho faticato parecchio prima di mettere piede sul piano della coscienza, che non si sa se abbia un uomo per sostanza, una sigaretta di sicuro no, ma un sacco da pugilato forse. Pestato e piazzato su un materasso giallo, la coperta di lana spessa rimboccata sotto un tetto che era lontano quanto il soffitto di un grande magazzino. Ecco dov’ero, nel palazzetto di Ponte di Legno. Alla base vita. L’ora di sonno che avrei dovuto fare erano diventate quasi due e Alberto mi guardava mentre tornavo dall’altra stanza, quella buia che più buia non si può proprio come nei sonni ultra profondi. Forse l’aveva deciso il mio inconscio e cosa avrei fatto una volta sveglio, quando il mio socio mi ha chiesto notizie sul futuro, l’ho dato per scontato. Basta. Quell’esperienza per me era finita lì. Ho ringraziato il Grande Bang per quanto sostegno mi avesse dato e l’abbraccio più grande l’ho mandato a tutte le persone e i volontari dell’ADAMELLO ULTRATRAILche ci hanno guardato le spalle.
Diamine. Ieri mattina Edilio stava arrivando con il suo furgone di pensieri quando una lepre gli ha attraversato la strada. Eddi ha temuto di averla messa sotto. Allora ha rallentato, ha aperto la portiera, si è sporto per guardare indietro e, porca miseria, non ci crederai, ma è caduto fuori dal furgone. L’ho portato allo specchio pensando che avesse avuto un arresto cardico. Quando si è guardato, gli è toccato raccontare cos’era successo. Era caduto dal furgone, ecco cosa era successo. E’ troppo grasso e si è sporto più del dovuto. Attenzione. Non è vero niente. Di tutto ciò è successo il senso di quando ero nel panico sopra al Monte Tonale. Seduto su uno sgabello ai piedi della Città Morta, con freddo e neve, e il colpo di sonno che mi ha acchiappato per un istante. Credo di aver rischiato la stessa fine di Eddi se non peggio forse.
A Simona, custode gentile di me caos.
“Ad ogni modo, con gli indizi non è mai finita. Ce n’era pure un altro qui che aveva sfondato il muro del paio. Cosa che non dico per caso.” Mel O’Zuccone
Neanche il tempo di appoggiare le suole fuori dall’asfalto che l’idea di un viaggio difficile ma tranquillo si è spenta subito. Mettiamola così. Prima di un trail le pensi tutte, perché sai che le variabili sono tante quante le scappatoie che i politici trovano per mettercela nel culo e in montagna non è come viaggiare sull’asfalto, e infatti ti può cadere anche una pigna sulla capoccia. Frequentando i boschi succede davvero. Ragione per cui non c’è retorica quando si dice che l’obbiettivo di queste corse è arrivare alla fine. Per dirne una che mi riguarda, una volta mi si è infilato un legnetto nella scarpa e, se il taglio nella tela si fosse aperto più seriamente, col cazzo che sarei riuscito a scendere dai bricchi con una scarpa e una ciabatta. Ma arrivare a pensare che uno sciame d’api prendesse il volo dal suolo per assaltare le nostre caviglie, questo no. Questo era davvero difficile da prevedere. Eppure ‘sto cazzo di nido c’era ed era messo lì sotto un sasso. E non si capiva cosa ci facesse nei paraggi di un rigagnolo che costringeva noi a mettere le fette proprio sopra la loro casa. Tra parentesi chi ha parlato di vespe di terra molto probabilmente aveva più ragione degli altri. Morale, molti di noi si sono ritrovati con diverse punture, chi due, chi tre, vedi il sottoscritto, chi cinque e chi venti perché si è spinto oltre contando anche i pizzicotti di quando già da bambino si faceva beccare a dire le cazzate. Insomma, la partenza è andata così. Un chilometro e cinque di dislivello da fare di seguito – tutti e subito – e il peggiore dei mali non era nemmeno quello. Più tardi ci si è messo anche il meteo, ma questo ve lo racconto più avanti. Per oggi abbiate del buon tempo. Io vado a sgambare con la mia maglietta nuova di pacca, gialla e nera.
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A questo evento la Regina dei Popcorn non ha partecipato. Uno po’ d’importanza mondiale me l’ha rubata il suo lavoro che l’ha portata dalle parti della ridente Novara. Ridente. Al suo posto, gioia mia, è venuta mia madre. Accettando di lasciare l’esilio marittimo, montare in macchina, affrontare l’autostrada e farmi salire le pulsazioni in anticipo con un disguido chiavi. Chiave. Dopo un minuto e trenta secondi che eravamo partiti in macchina, destinazione Vezza d’Oglio e me al volante, scopro che lei aveva chiuso la serratura sotto di casa mia. Chiuso. Ripensavo a questo dopo un’ora e mezza che pativo sulla prima rampa. A qualcosa dovepvo pur pensare. Non c’è solo eroismo da quelle parti. Anzi, se vuoi, per la mente è un attimo far somigliare tutto alla vita quotidiana. E per quanto difficile sia crederci, sia rimuginare, sia diventare normali anche in quota, così è. Molto più di quanto un politico riesca a parlare con onestà. Una sola è la virtù cardinale necessaria per coprire le lunghe distanze: l’ossessione. Che non è una virtù nemmeno teologale. Mentivo. Se mi sentite spesso tirare in ballo l’abito sporco del governo è solo per prudenza. Poca. Tornando alle chiavi scopro che la mia personale ghiandola cutanea secernente latte a suo tempo, dicevo, ha chiuso la toppa sotto. Per il motivo di recuperare la mia borsa. Cioè farmi una cortesia. Ma quella chiave non si usa mai a casa mia, non se l’assenza è poco prolungata e insomma, ricordando che la Regina dei Pops non ne avesse una nel suo mazzo, pianto la macchina sul lato della tangenziale e mi è partito l’incazzo. Vita infame per chi ti favorisce e agisce a fin di bene, vero? Infatti mi ero sbagliato e scusato ottomila volte. La colpa non mi si era staccata di dosso comunque, dai polpacci quanto meno. Che sentivo mordere mentre ripensavo a questo e salivo. E mi chiedevo se mami fosse uscita a fare quattro passi anche lei. La sua tendenza è di fare molta strada sulla stessa piastrella. All’età che ha questa donna non è un’abitudine, è una fregatura mondiale. Abitudine. Un uomo più attivo nella sua vita non le avrebbe fatto male, uno tipo Sandro, che con gli anni e il volume non è messo molto meglio della mia vecchia, e quando l’ho raggiunto o mi sono accorto che era nei paraggi, faticava silenzioso come me e tutti quanti.
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